venerdì 4 dicembre 2015

Una piccola spesa


Il bambino ha una capigliatura voluminosa, un cespuglietto biondiccio che gli nasconde bene tutta la fronte. I suoi occhi però sono talmente luminosi e grandi che dentro ci si può leggere una storia o forse anche due. Io ci leggo qualche minuto di esistenza di una donnetta dai denti gialli e aguzzi, una donna col nasetto arricciato all’insù e dei capelli rossicci tracciati a pastello.
Il tutto sembra un disegno, una fantasia del bambino messa su carta a scuola, durante un ritaglio di tempo ed io mi ci perdo dentro volentieri, ma sentendomi un po’ colpevole: in fondo sono un intruso, uno che si porta via la vita degli altri.
La madre del bambino è due passi avanti a lui, sta caricando il nastro trasportatore della cassa e intanto sta parlando col cassiere: “Ho solo venti euro” dice: “Mi avverta se li supero, per favore”.
E’ la versione in carne e ossa del disegno oculare del figlio, ma sembra molto più fragile rispetto alla sua visione: Dio non ha usato gli stessi pastelli del bambino e la donna è venuta su un po’ meno confusa nei tratti ma meno solida della struttura. Il nastro trasportatore intanto avanza sotto ai nostri nasi accompagnato dai beep del lettore ottico e sia io che la donna sembriamo impegnati in un conteggio a labbra serrate di fronte al display del registratore di cassa.
Il bambino nel frattempo agguanta un ovetto Kinder e lo scuote in aria come una maracas: “Mamma!” esclama, ma la donna è troppo preoccupata per accorgersi di lui e del suo cioccolato con sorpresa. Il conto finale dice: “diciannove euro e settantanove” e il sospiro di sollievo della donna fa svolazzare un tantino la coda bianca dello scontrino benedetto. Solo allora lei si accorge dell’ovetto Kinder che suo figlio sta stringendo forte da un po’: “Mi spiace caro” dice: “Mettilo giù, non ho abbastanza soldi” aggiunge ed io che per un attimo vengo sfiorato dall’idea di intervenire col mio portafogli, torno a spiare dentro agli occhi del bambino: adesso c’è un mare grosso gonfio di tristezza, una tempesta blu che non ammette superstiti.

venerdì 9 ottobre 2015

Il pallone


La porta si apre lentamente e dal buio innaturale della casa emerge pian piano un massa informe, una nera figura che si guadagna la luce passo dopo passo, come un ragno che esce di malavoglia dal suo orrido buco. La vecchietta che sbuca dalla porta è una di quelle tutte sciancate, una di quelle che intasano le corsie dei supermercati aggrappandosi meticolosamente con le mani al carrello, sulla destra, pur restando con le gambe e coi i piedi ben piantati a sinistra, assumendo così una incredibile posizione tipo: “staccionata dell’olio Cuore” che ovviamente invita al salto a piè pari, in tutta leggerezza.
Quando emerge al sole noi tutti ci aspettiamo che evapori, che si volatilizzi come un vampiro, ma poiché ciò non succede assistiamo alla sua demoniaca discesa dai gradini condita come al solito di improperi appena sussurrati, come gli Ave Maria di un rosario.

mercoledì 15 luglio 2015

Quello strano miracolo


Più che una farmacia sembra un ospedale da campo. I quattro farmacisti in camice bianco al di là del bancone e davanti a loro un battaglione di acciaccati da far invidia a un santuario mariano. Appena entrato c’è da prendere il numeretto e non me ne accorgo fino a che entra qualcun altro, ma alla fin fine non me ne importa. L’aria condizionata miete teste e colli a tutto spiano colla sua falce gelida e insieme t’accarezza facendoti piombare in un sonno glaciale, in una pace totale tutt’altro che immeritata.

lunedì 6 luglio 2015

Verso tutti


Il laghetto ritratto nelle cartoline è uno specchio color smeraldo che potrebbe benissimo abbagliare un automobilista al volante su Marte. Le sue rive sono due labbra sottili sporche di sole, di cielo primaverile e del verde acceso dei sempreverdi. Dalla veduta aerea gli alberi sembrano spingersi l’un l’altro verso l’acqua presidiando il bordo del laghetto come dei bagnanti rannicchiati pronti a tuffarsi. In mezzo allo specchio d’acqua un antico santuario si sporge a sua volta da un isolotto che è poco più di uno scoglio, una specie di picco che emerge solitario dalle acque come un dente grigio e verde.
Il laghetto fuori dell’abitacolo è una nuvola a livello del terreno che spruzza pioggia lateralmente come un autolavaggio. Io e la famiglia ci guardiamo, guardiamo in nostri k-way sgargianti e poi apriamo le portiere inzuppando i piedi nella melma grigia del parcheggio. Il vento ci accoglie scoperchiando i cappucci sulle nostre teste e sferzando l’unico ombrello che abbiamo: quel minuscolo e inutile avanzo d’auto, del quale ci si ricorda sempre e solo in condizioni estreme, come queste.

martedì 16 giugno 2015

Un bel lavoretto


Quando non so che fare, giro per casa in cerca di qualcosa da aggiustare.
Deve essere una malattia di famiglia, una maledizione secolare o qualcosa di molto simile.
In famiglia d’altro canto siamo tutti attrezzatissimi in fatto di riparazioni. Possediamo interi set di chiavi inglesi luccicanti appese alle pareti dei garage assieme a spatole e martelli di varia grandezza e ad altre moltitudini di arnesi che, anche se non lo ammetteremo mai, non sappiamo neppure a cosa debbano servire.
Tanto, l’unico arnese che utilizziamo è il cacciavite.
In genere ne abbiamo uno solo, ma multifunzione. Lo si riconosce perché è enorme, è contaminato da sostanze di dubbia provenienza ed è un prezioso omaggio della rivista Donna Moderna. Insomma, qualità oro.

martedì 19 maggio 2015

Il cous-cous


Tempo fa ho messo in vendita su internet una vecchia macchina da cucire e poi, complice il fatto che nessuno s’è mai fatto avanti, me ne sono completamente scordato. 
Fino a ieri sera.
Ieri sera, ore sette e trenta spaccate, ero ai fornelli alle prese col primo cous-cous della mia vita. Stavo facendo soffriggere il peperoncino, saltando le verdure, aspettando che l’acqua bollisse e contemporaneamente leggendo una ricetta online dal tablet, pericolosamente acceso a pochi centimetri dalle padelle roventi. 
I bambini intanto giocavano a su e giù con l’audio della tele e nelle pause si davano delle belle “telecomandate” tipo clava/uomo delle caverne sulla testa da bravi fratellini, mentre la governante, che non ho mai avuto e mai avrò, era fuori a sbrigare delle importanti commissioni in paese...

giovedì 7 maggio 2015

Cose mie


E’ domenica mattina e sto stendendo il bucato in balcone alla faccia del cielo che minaccia ritorsioni d’acqua e delle montagne che piagnucolano da lontano come due vecchie zitelle a un matrimonio.
Più che altro cerco di convincere me stesso che non pioverà da lì a due minuti e che almeno le lenzuola avranno il tempo di asciugarsi approfittando del vento che soffia sulla città come se fosse la sua torta di compleanno.
Ad ogni capo che appendo al filo mi par di sentire una sghignazzata da parte dei vicini che se non altro hanno il buongusto di non farsi vedere e rimanersene sigillati nei loro sarcofagi di calcestruzzo colorato.
Io comunque rispondo loro tirando su col naso, perché l’allergia ha deciso che se deve piovere, pioverà anche dai miei occhi che son più scuri del cielo e qualche fulminata ogni tanto la sanno anche dare.
Fintanto che le apro e le chiudo provo per le mollette una sorta di fratellanza e mi diverto a dar loro dei nomi che ricorderò soltanto in caso di morte eroica come quella di Maria Pia, che poveretta non ci ha pensato due volte a buttarsi sulla rampa del garage, appresso a quel calzino spaiato che appare e riappare a piacimento come un fantasma.

giovedì 23 aprile 2015

Me & Tony


Le prime volte, quando andavo al bagno, pensavo che ci fossero i fantasmi. Sentivo che dal gabinetto accanto provenivano i rumori tipici di chi sta facendo “le sue cose”, ma sapevo bene, ero certo anzi, di essere l’unico là dentro. Poi un giorno presi coraggio e mi accorsi che era solo questione di guarnizioni, di perdite d’acqua.
Dapprima la cosa mi rasserenò ma poi iniziai a provare un po’ di tristezza. In fondo non sarebbe stato male avere un po’ di compagnia, condividere il cesso aziendale con dei fantasmi.
Per qualche tempo feci finta di niente, entravo e uscivo senza fermarmi a pensare ad alcunché. Non volevo che la mia mente mi dicesse quanto mi sentivo solo. Srotolavo più carta igienica di quanto ne avessi bisogno solo per darmi qualcosa da fare, per ottenere qualcosa che spostasse la mia attenzione dai gocciolii del gabinetto accanto.
Poi una mattina m’inventai Tony.
Tony era un collega che non avevo mai visto. Uno nuovo. Uno con i baffi e la pancetta da birra. Uno a cui scappava sempre d’andare al cesso proprio quando scappava a me. Lo sentivo fare le “sue cose”, anzi ci sentivamo a vicenda, e alzando le voci al di sopra delle cascatelle d’acqua ci raccontavamo storielle veloci, tipo barzellette, ma basate su fatti realmente accaduti.
Io ne avevo a bizzeffe da raccontare e lui era ben felice di ascoltarle.
La prima volta per rompere il ghiaccio gli dissi di quella volta che il titolare s’infuriò così tanto da non accorgersi dell’assenza della seggiola alle sue spalle. Quella volta che cadde a gambe all’aria sbraitando e io per poco mi strozzai per trattenere le risate.
Cosa che io e Tony non facevamo mai durante le nostre sedute plenarie al gabinetto.
A poco a poco com’è ovvio ci presi gusto ad andare al cesso. Cercavo d’andarci più spesso possibile anche a costo di apparire malato. A volte uscivo dall’ufficio con la faccia rossa e le mani incrociate sulla pancia come se stessi per scoppiare. Camminavo lesto lesto facendo dei passettini da paperella per simulare l’urgenza. Tutti i colleghi ridevano vedendomi passare, ma io ridevo più di loro, al cesso, con Tony.
Andò avanti così per mesi. Un inverno intero. A volte mi capitava di pensare a Tony anche quando me ne stavo nel bagno di casa. Mi chiedevo cosa avrebbe detto Tony se gli avessi riferito la tal cosa oppure preparavo le mie storielle cercando di renderle più interessanti aggiungendo particolari inventati. Io e Tony ce lo meritavamo, col lavoraccio che ci toccava fare tutti i giorni...
Una mattina però arrivai al lavoro e, anziché trovare Tony, nel gabinetto accanto al mio ci trovai l’idraulico. Ci conoscevamo un poco e così mi salutò mentre sostituiva la cassetta dello sciacquone, mentre ammazzava Tony davanti ai miei occhi.
Cieco dalla rabbia allora lo insultai e lo presi a pugni, anzi cercai di farlo. Lui era più grosso, troppo più grosso. In pratica gli feci soltanto il solletico. Lui invece mi colpì sul naso, due volte.
Da allora io e Tony non ci parliamo più stando al cesso, siamo diventati telepatici.

lunedì 13 aprile 2015

Gianni il cane


E’ venerdì, dopo lavoro, e da un po’ sono bloccato nel traffico. La colonna d’auto davanti a me sembra non finire mai ed io butto via le ultime ore di sole ascoltando l’unica stazione radio che prende in quel dannato punto di statale. Un insulso parla di cose insulse assistito da telefonate di ascoltatori insulsi da morire. Mi annoio da matti, mi viene da piangere...

mercoledì 25 marzo 2015

Il sabotatore



Per accedere alla corsia delle uova di Pasqua ci vorrebbero gli occhiali da saldatore. Tutta quella carta argentata, tutto quell’oro, tutti quei nastri colorati che catturano la luce dai neon e te la sparano negli occhi: è roba da discoteca, non certo da supermercato. Io sono lì che mi sfrego gli occhi da un buon dieci minuti cercando tra i tanti l’uovo giusto per i miei pargoletti: cioccolata di qualità, sorpresa decente e prezzo accessibile, in pratica è un miraggio ed io mi sto giocando la vista per sempre.

Poi d’un tratto proprio quando mi son deciso per l’uovo delle Tartarughe ninja ecco che qualcosa mi sovrasta, un’ombra si allunga su di me e sugli scaffali annullando il potere catarifrangente delle uova. Mi volto subito e vedo un omaccione con i baffi che mi supera in altezza di una spanna. Indossa dei pantaloni larghi, una t-shirt e un gilet completamente blu. In testa ha un cappellino a visiera sempre di colore blu ma con uno stemma giallo in rilievo. E’ armato di pistola e sfollagente.
E’ il guardiano di turno al supermercato.
“Salve” gli dico.
“Salve” mi fa lui senza schiodarsi di mezzo millimetro dalle mie spalle.
Il suo alito al gusto tic-tac arancia mischiato al dopobarba Denim agisce su di me come un potente narcotico. Torno a guardare inebetito le uova cercando di dissimulare il disagio ma non ce la faccio.

mercoledì 18 marzo 2015

Il brodo


Appena al di là della porta scorrevole il grande canalone di merci in offerta speciale. La parte più stretta di un imbuto le cui pareti non sono altro che altissimi bancali pieni zeppi di mercanzie di varia natura e utilità, accatastate l’una sull'altra come enormi tessere di un orrendo Tetris alimentare.
Il brodo di pollo è una di queste, lo leggo dal cartello appeso direttamente al bancale. La scadenza è ravvicinata, per quello. Ma è così tanto che basterebbe a riempire una piscina olimpionica. Ci vedrei bene Giovanni Rana a nuotarci dentro. A Rana, ovviamente.
Rido da solo, appollaiato come un avvoltoio sul manubrio del carrello e per poco non tampono quello che mi sta davanti. “Scusi” dico, ma non mi risponde. Neanche se n’è accorto. Sta riempiendo il carrello di cartoni di brodo. Deve essere un amante. Un ghiottone. O ci deve essere qualche sagra paesana a base di. Brodo. Che poi puoi farci anche il risotto. Sai che buono...

mercoledì 11 marzo 2015

La vincita



E’ sera solo perché lo dice l’orologio. Fuori è ancora chiaro. Il cielo è retroilluminato da un sole che si nasconde oltre le colline. Scendendo dall’auto sento la puntura fredda dell’aria sul collo e cerco di difendermi alzando il bavero della giacca e incassando la testa nelle spalle. 
Così, a tartaruga, mi dirigo al bancomat. Il parcheggio antistante la banca è stranamente deserto. Gli impiegati sono già tutti usciti e la mia è l’unica auto a presidiare la zona. Guardo a destra e subito dopo a sinistra. Due donne imbacuccate vengono avanti parlando forte in una lingua diversa dalla mia. Penso sia francese, ma non ci scommetterei troppo. Digito il codice pin senza guardare i numeri e al momento opportuno scelgo la cifra di cui necessito. Di ricevute non ne ho bisogno così un attimo dopo ho di nuovo il mio bancomat e un mazzetto di banconote che sembrano inamidate. 

martedì 3 marzo 2015

Le donne nude



Le donne nude sono tre: una mora, una bionda e una via di mezzo: una stinta.
Ogni volta che apro la porta per uscire dal capannone sono lì che mi guardano ammiccanti da calendari che nessuno si prende più la briga di girare, manifestando, di fatto, una certa preferenza.
In quell'angolo è luglio tutto l’anno.
Può essere contemporaneamente marzo e aprile.
Settembre dura almeno da tre anni.
Quelle tre sono lì che raccolgono il sole che sbava dai vetri obliqui del fabbricato, che s’abbronzano a forza di sberle contro il muro, che ingrassano a suon di occhiate e manifestazioni di interesse unte come patatine fritte.

lunedì 23 febbraio 2015

Dramma in tre puntate


All'alba del ventitreesimo giorno di mancate pulizie le latrine cominciarono a puzzare. Le tavolette dei water, ove presenti, si esibivano giallastre e ricoperte di macchie di ben poco dubbia natura. L’uomo entrò nella stanza spasimando, con le mani posate strettamente al bassoventre e una voglia mal celata di fuggire lontano. Subito l’accolse un’aria malevola, insalubre e decisa a spifferare ciò che in realtà egli già sapeva: le toilette avevano abbondantemente raggiunto il livello autogrill.
Con passo malfermo l’uomo si avvicinò alla porta del primo bagno e l’aprì deciso ricevendo subito un manrovescio in pieno viso. La postazione si presentava in disordine, con il pavimento incrostato al punto da far pensare al passaggio di una mandria bovina e il bordo del water chiazzato di un’urina color zafferano. Barcollante si fece indietro richiudendo la porta con violenza, come se in realtà si trattasse dell’accesso diretto agli inferi e fosse compito suo chiudere il passaggio al diavolo in persona.

venerdì 13 febbraio 2015

Delta e basta.


Sono di fretta. Lo sono sempre più spesso. Dopo lavoro devo sempre correre da qualche parte. A volte non capisco neanche tanto bene perché. Stasera sono di fretta perché ho scordato di comperare le stelle filanti per la festa dell’asilo così mentre guido penso alla soluzione migliore, ad un posto comodo e veloce dove fermarmi a comperare un paio di rotoli multicolor. Mentre mi divincolo con disinvoltura nel traffico della sera rammento con orrore di non avere nemmeno un euro di contante nel portafogli. Al massimo ho qualche centesimo brutto e perennemente incazzato in un angolo del portamonete. Mi succede sempre più spesso. Pago quasi tutto con il bancomat. Quasi.

martedì 10 febbraio 2015

La sinfonia



La stanza è una bolla di silenzio in un mare di intenso frastuono. L’ovatta alle pareti pende lunga, bianca ed eroica come una barba di mago, ma non compie magie. La fabbrica spande rumore da ogni singolo bullone, da ogni singola vite che si stringe sui miei giorni. Nei capannoni ogni movimento è una bomba che esplode, una pioggia di schegge di baccano che si infilzano ovunque.
Ed io sono lì, dentro a quella bolla che aspetto. Rimbalzo io stesso i rumori che oltrepassano le barriere facendomi scudo con le spalle e stringendomi forte alla scrivania per non finire sbalzato. Sotto i piedi il pavimento sussulta forte. Le vibrazioni a volte arrivano lente, svogliate, quasi impercettibili e a volte giungono violente come le ondate di un mare arrabbiato che viene a travolgermi col suo rumore schiumoso.

giovedì 29 gennaio 2015

L'uomo missile



L’uomo missile guida una macchina come tante altre di grossa cilindrata: diesel o benzina, che differenza fa? Il design è accattivante ma è sempre quello, già visto in tutte le salse: bianco, rosso e qualche volta pure verdone. Soltanto che lui ha speso migliaia di euro per corrompere il vento, per fare in modo che faccia amicizia colla sua vettura e l’accarezzi anziché prenderla a sberle come volentieri farebbe. L’assetto ribassato, le minigonne, lo spoiler, chissà che altro: dell’auto ne ha fatto un proiettile grigio metallizzato pronto ad infilarsi dritto dritto nelle chiappe dell’orizzonte.

martedì 20 gennaio 2015

Le siamesi


In genere “le siamesi” sono quel tipo di signore sulla settantina che fanno la spesa sempre in coppia,  l’una avvinghiata all'altra come due gemelle siamesi appunto. Una di solito ha in mano la lista della spesa mentre l’altra regge il cestino di plastica o, nel peggiore dei casi, spinge il carrello.
Se te le ritrovi davanti in reparto o in corsia sei finito.