lunedì 23 febbraio 2015

Dramma in tre puntate


All'alba del ventitreesimo giorno di mancate pulizie le latrine cominciarono a puzzare. Le tavolette dei water, ove presenti, si esibivano giallastre e ricoperte di macchie di ben poco dubbia natura. L’uomo entrò nella stanza spasimando, con le mani posate strettamente al bassoventre e una voglia mal celata di fuggire lontano. Subito l’accolse un’aria malevola, insalubre e decisa a spifferare ciò che in realtà egli già sapeva: le toilette avevano abbondantemente raggiunto il livello autogrill.
Con passo malfermo l’uomo si avvicinò alla porta del primo bagno e l’aprì deciso ricevendo subito un manrovescio in pieno viso. La postazione si presentava in disordine, con il pavimento incrostato al punto da far pensare al passaggio di una mandria bovina e il bordo del water chiazzato di un’urina color zafferano. Barcollante si fece indietro richiudendo la porta con violenza, come se in realtà si trattasse dell’accesso diretto agli inferi e fosse compito suo chiudere il passaggio al diavolo in persona.



Avvicinandosi al secondo gabinetto egli si avvide che la porta era, al contrario del primo, abbastanza aperta da poterci guardare dentro. Lì per lì gli sembrò la scena di un omicidio. Sul pavimento la sagoma di un uomo sul metro e sessanta, leggermente raggomitolato su se stesso, tracciata con un dito di lerciume nero e pezzetti di carta igienica grigia. Peli riccioluti sparsi attorno al cono del water il cui interno risultava tuttavia invisibile da quella distanza.
Indeciso, l’uomo si fece accompagnare dentro dagli spasmi dell’intestino, come preso per le orecchie da una maestra bastarda; entrò calpestando tutto, incurante dell’arrivo imminente della polizia scientifica.
Dentro al water, egli s’accorse subito d’esser fissato da una pallottola calibro 30 cm di carta igienica gialla e putrescente. Ancora più instabile, l’uomo si vide costretto ad indietreggiare e a sbarrare la porta ancora una volta, tenendo a stento a bada i conati di vomito.
Insicuro, egli s’appoggiò poi al lavabo, che pure era lurido e percorso da lunghe crepe pregne di sporco e attese lì immobile quelli che gli sembrarono un paio di minuti; poi si voltò e risoluto aprì la terza ed ultima porta.

Qui l’ambiente era una mezza via tra i due precedenti. Il pavimento era più pulito del primo gabinetto e la tazza del water più sgombra del secondo. Non era certo il paradiso, ma poteva esserne lo zerbino all'entrata. L’uomo si chiuse dentro facendo scattare immediatamente la serratura e in fretta e furia calò i calzoni cercando di farli toccare terra il meno possibile. Quindi abbassò le mutante e ormai mezzo nudo si mise a contemplare il water come se si trattasse di un nido di serpenti a sonagli pronti a mordergli le chiappe.
Sempre più dolorante l’uomo rimase fermo per un po’ a domandarsi che genere di microbi e malattie potessero popolare la tavoletta scrostata del water e subito iniziò a sudare vistosamente. Combatté ancora qualche istante contro se stesso ma quando senti d’essere sull'orlo di una crisi di pianto tirò su i pantaloni, uscì di corsa dal gabinetto, salì in macchina e guidando furioso, quasi alla cieca, scomparve all'orizzonte.

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