martedì 16 giugno 2015

Un bel lavoretto


Quando non so che fare, giro per casa in cerca di qualcosa da aggiustare.
Deve essere una malattia di famiglia, una maledizione secolare o qualcosa di molto simile.
In famiglia d’altro canto siamo tutti attrezzatissimi in fatto di riparazioni. Possediamo interi set di chiavi inglesi luccicanti appese alle pareti dei garage assieme a spatole e martelli di varia grandezza e ad altre moltitudini di arnesi che, anche se non lo ammetteremo mai, non sappiamo neppure a cosa debbano servire.
Tanto, l’unico arnese che utilizziamo è il cacciavite.
In genere ne abbiamo uno solo, ma multifunzione. Lo si riconosce perché è enorme, è contaminato da sostanze di dubbia provenienza ed è un prezioso omaggio della rivista Donna Moderna. Insomma, qualità oro.

Nel calendario dell’aggiustatore seriale non esiste giorno più disgraziato della domenica per fare riparazioni. Non importa cosa fai, come lo fai o quanto sei bravo: di domenica non esiste lavoretto casalingo che venga Dio comanda.
Sarà proprio perché Dio comanda il riposo la domenica? Può anche darsi.
Ieri, come vi sarete senz’altro accorti guardando fuori della finestra, era domenica. Ed io mi aggiravo per la casa in mutande reggendo tra le dita il mio fido cacciavite tuttofare in cerca di qualcosa che cigolasse, di qualcosa che pendesse, di qualcosa che spandesse. Di qualcosa insomma che avrei potuto smontare in mezzo secondo e forse rimontare in due giorni, bestemmiandoci sopra.
Avevo in mente una lunga serie di lavoretti lasciati in sospeso ma nessuno di questi mi convinceva. Del resto non cercavo qualcosa di poco conto: volevo l’impresa, qualcosa per cui essere ricordato.
Peccato che pur facendo le pulci all’appartamento non riuscivo a trovare niente che fosse all’altezza.
Poi ad un certo punto ho alzato la testa e l’ho visto.
Gesù s’era misteriosamente schiodato le mani dalla croce e pendeva dall’unico chiodo rimasto: dai piedi, a testa in giù. Altri avrebbero chiamato Studio Aperto gridando al miracolo, ma io ero già in trans agonistica e non volevo altro che staccare il crocefisso dal chiodo e portarlo in garage per sistemarlo. E così mi sono arrampicato su una sedia e l’ho preso, assieme a non so quante ragnatele.
Scendendo nel seminterrato non ho resistito e ho provato a far fare a Gesù un paio di giri della morte attorno alla croce e per tutta risposta mi sono quasi tranciato due dita nel folle movimento rotatorio, stile tosaerba.
Il mio Gesù è in metallo, acciaio inox per la precisione e a prenderlo sulle dita fa un male cane.
In garage ho iniziato a cercare i chiodini adatti, qualcosa di fino-fino e di corto-corto e una volta tanto non ho fatto fatica a trovarli. D’altronde ho più chiodi io che il Brico giù all’angolo e il bello è che non so di dove arrivino, chi o che cosa li abbia spinti a venire da me.
Trovati i chiodini il gioco è stato semplice. Ho dovuto soltanto lavora di precisione per infilarli bene nei fori delle mani e poi martellare con calma, senza dare troppa forza.
Fintanto che sistemavo il crocefisso però ci ho pensato su, mi son detto: “Ma guarda cosa sto facendo! Mio dio sto inchiodando Gesù alla croce!”. E mi sono sentito un po’ male per questa cosa, perché magari sarebbero bastate due gocce di Attack.
Però mi sono anche chiesto con quale coraggio riuscissero a fare una cosa così a delle persone in carne ed ossa, anche se poi è soltanto una crudeltà come tante, una delle tante cattiverie delle quali è l’uomo è capace...
Quest’ultimo pensiero, ne sono certo, mi salverà dalle fiamme dell’inferno.
Due minuti dopo, nel riappendere il crocefisso al muro, a lavoretto finito, mi sono chiesto perché riparare le cose rotte mi procuri in genere così tanto piacere e non ho dovuto pensarci su troppo per rispondere. “E’ solo una compensazione” mi sono detto: “Riparare le cose è ben più facile che riparare se stessi”.

Nessun commento:

Posta un commento