mercoledì 11 marzo 2015

La vincita



E’ sera solo perché lo dice l’orologio. Fuori è ancora chiaro. Il cielo è retroilluminato da un sole che si nasconde oltre le colline. Scendendo dall’auto sento la puntura fredda dell’aria sul collo e cerco di difendermi alzando il bavero della giacca e incassando la testa nelle spalle. 
Così, a tartaruga, mi dirigo al bancomat. Il parcheggio antistante la banca è stranamente deserto. Gli impiegati sono già tutti usciti e la mia è l’unica auto a presidiare la zona. Guardo a destra e subito dopo a sinistra. Due donne imbacuccate vengono avanti parlando forte in una lingua diversa dalla mia. Penso sia francese, ma non ci scommetterei troppo. Digito il codice pin senza guardare i numeri e al momento opportuno scelgo la cifra di cui necessito. Di ricevute non ne ho bisogno così un attimo dopo ho di nuovo il mio bancomat e un mazzetto di banconote che sembrano inamidate. 


Al di là della strada l’insegna dei tabacchi e valori bollati mi chiama come sempre. Andare a prendere un gratta e vinci dopo aver prelevato è diventato un rito ormai, anche se io cerco di mascherarlo. La faccio sembrare una casualità, un’occasione capitata per caso. Non è che io cerchi giustificazioni, no: è solo che mi piace pensare che una possibile vincita possa arrivare in seguito ad una fortunata combinazione. Forse il mio è più un rito scaramantico: non voglio che la dea bendata pensi che  vado lì per vincere, che entri dal tabacchino con qualche pretesa.
Attraversando la strada però mi sento già un po’ più ricco. Non importa il fatto che fino a prova contraria io stia andando a spendere dei soldi. Mentre cammino discuto con me stesso come se dentro avessi il mio socio in affari e stessimo calcolando la cifra giusta, la vincita per così dire necessaria. Dalla porta a vetro noto che il locale è pieno. Conto sei persone di spalle e una china sul banchetto del Superenalotto. Resto lì un po’ indeciso sul da farsi ma quando un altro cliente si avvicina alla porta entro per non farmi passare davanti.

Dentro l’aria è viziata dal soffio caldo del termoventilatore e dal tabacco in scatola. Siamo stipati come sardine e tra noi c’è davvero qualcuno che sa proprio di sardine. Guardo in faccia quello che mi sta dietro, quello che entrato appena dopo di me e poi mi ficco in un angolino ad aspettare. Ora che gli ho preso i connotati non mi passerà mai davanti. Al banco c’è un omino un po’ tarchiato che sta discutendo col tabaccaio a proposito dei gratta e vinci. Dentro al negozio tutti sembrano interessatissimi all’argomento ed io non posso fare di meglio che adeguarmi.
“Ma quanti hanno vinto?” chiede in quel momento l’omino al tabaccaio che pare piuttosto a disagio.
“Non te lo so dire” fa quello, ma è più un “Non te lo posso dire” e si vede lontano un miglio. “Di questo tipo qua ne ho venduti pochi vedi? Il pacco è quasi completo” sostiene il tabaccaio sventolando un mazzetto di gratta e vinci da dieci euro davanti al naso dell’omino che sembra irritarsi parecchio: “Sì, ho capito” dice: “Ma quanti hanno vinto comprando quelli che mancano?” insiste poggiandosi con le mani al bancone.
Il tabaccaio ha l’aria esausta. Sfoggia un sorriso di circostanza che sembra più una paralisi definitiva. Si capisce che caccerebbe l’omino a pedate nel sedere ma non può, non se la sente di rinunciare a un possibile guadagno. “Nessuno. Oggi non ha vinto nessuno” dice infine: “Cifre importanti intendo”. Alche l’omino sfoggia un ghigno soddisfatto e dopo essersi voltato ripetutamente verso gli altri clienti dice: “Allora li prendo. Quanti sono?”.
Tra lo sbalordimento generale il tabaccaio comincia a contare i biglietti come se fosse un banchiere alle prese con un fascio di cartamoneta. Il conto però dura poco: “Sono ventisei, ovvero duecentosessanta euro” annuncia rosso in volto.
“Allora” riattacca l’omino: “Ne prendo altri quattro di quell’altro tipo. Di quelli là!” dice allungando il braccio in direzione della mensola che sta alle spalle del tabaccaio.
Solo in quel momento mi accorgo che il display della macchina del gioco del Lotto indica una vincita di trecento euro tondi tondi. L’omino li ha vinti e anziché intascarli come farebbe la maggior parte della gente se li sta giocando di nuovo, al gratta e vinci. 

Ho appena finito di realizzare che l’omino si volta e scansando quanti gli stanno attorno infila la porta ed esce. Fuori adesso è buio pesto. La notte ha preso il sopravvento ed io quasi non ricordo il motivo per il quale mi trovo lì dentro, ma è una sensazione che dura poco. La tabaccheria riprende vita e il tabaccaio con essa. Lo sento tirare su forte l’aria dal naso. Si vede che la trattativa l’ha consumato: “Prego” fa al primo della fila e questi un po’ imbarazzato chiede un gratta e vinci. Così come il cliente successivo e quello dopo ancora. Quando arriva il mio turno tutte le persone che avevo davanti, nessuna esclusa, ha acquistato un gratta e vinci. 
“Un gratta e vinci per cortesia” dico posando dieci euro sul bancone e senza aspettare altro che mi si porga il biglietto infilo la porta piombando nell’oscurità pressoché totale. Unico baluardo è un lampione appena cinque o sei metri più a sinistra rispetto all’ingresso. La sua luce sfarfalla leggermente ma è quanto di più prossimo alla vita che mi riesce di vedere nelle vicinanze. 
Desideroso di grattare il mio biglietto decido di avvicinarmi e nel farlo mi avvedo che nei pressi sono appostati anche altre tre persone. Due stanno grattando un biglietto con una monetina mentre la terza osserva il risultato della grattata all’interno del cono di luce. Mentre mi avvicino anche gli altri due terminano di grattare e dalle loro facce deluse sembra un niente di fatto. Mi guardano ed io guardo loro. 

Probabilmente abbiamo preso i biglietti i sequenza e tutti sotto sotto ci chiediamo se la teoria del cliente facoltoso, quello che s’è accaparrato tutta la serie precedente possa essere in qualche modo esatta. Sarò io il vincitore? Pesco una monetina a caso dai calzoni ma prima di grattare alzo lo sguardo sui miei spettatori. Tutti e tre sono sporchi di polvere argentata. 
I due più lontani dalla luce ne hanno le mani impregnate mentre quello vicino al lampione ne ha pure sulla giacca e sulle scarpe. Li fisso un tantino e loro mi fissano un tantino. Forse un po’ di più, con più interesse mi pare. Per un attimo mi sembra di essere dentro a uno di quei film di spionaggio o polizieschi. 
Mi immagino che la loro non sia una presenza casuale e che anzi sia proprio il contrario e mi abbiamo in qualche modo aspettato, tenuto d’occhio da chissà dove e per chissà quando. Rimango lì immobile col gratta e vinci sulla sinistra e la monetina da un centesimo sulla destra e tutto attorno sembra essersi congelato. L’unica cosa in movimento è il mio fiato che esce dalla bocca e sale veloce verso l’alto. Li guardo ancora e loro mi guardano ancora. 
Poi all’improvviso scoppia qualcosa, dentro di me sento il botto e lascio cadere a terra la moneta: neanche il tempo di vedere dove va a finire che le mie mani fanno a pezzi il gratta e vinci non ancora grattato. Ai tre cade la mascella assieme a tutti i pezzetti che svolazzano a terra in ordine sparso. “Buonasera” dico e attraversando la strada sento che mi stanno dando del pazzo. 

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