venerdì 9 ottobre 2015

Il pallone


La porta si apre lentamente e dal buio innaturale della casa emerge pian piano un massa informe, una nera figura che si guadagna la luce passo dopo passo, come un ragno che esce di malavoglia dal suo orrido buco. La vecchietta che sbuca dalla porta è una di quelle tutte sciancate, una di quelle che intasano le corsie dei supermercati aggrappandosi meticolosamente con le mani al carrello, sulla destra, pur restando con le gambe e coi i piedi ben piantati a sinistra, assumendo così una incredibile posizione tipo: “staccionata dell’olio Cuore” che ovviamente invita al salto a piè pari, in tutta leggerezza.
Quando emerge al sole noi tutti ci aspettiamo che evapori, che si volatilizzi come un vampiro, ma poiché ciò non succede assistiamo alla sua demoniaca discesa dai gradini condita come al solito di improperi appena sussurrati, come gli Ave Maria di un rosario.

“Ancora voialtri! Ancora con quel dannato pallone! Mi rompete le piante, disgraziati! Sono stufa che mi pestiate l’orto. I fiori, i fiori me li avete fatti morire, maledetti!!!” dice ciabattando lungo il vialetto d’ingresso nonostante il suo giardino sia soltanto un tripudio di erbacce, di alberi da frutta rinsecchiti, popolato al più da qualche ratto morto di fame e di stenti.
“Ci scusi signora...” dice quello più educato di noi, quello che deve esserlo per il solo motivo che abita lì, di fronte, ma la vecchietta pare non sentire: “Schifosi!” riattacca inviperita: “Ve la insegno io l’educazione! Suonare i campanelli delle case a quest’ora... Quando la gente dorme... Siete dei maleducati, voi e i vostri genitori!” annuncia portandosi più lesta del previsto sul pallone che giace su di un piccolo avallamento nel bel mezzo del giardino.
Dall’altra parte del cancello, noi ragazzini la seguiamo preoccupati con lo sguardo affettato dalle sbarre della recinzione e non fiatiamo, anche se dentro la rabbia monta la rivolta armando i nostri cervelli e le nostre lingue di parolacce di cui comprendiamo a stento il significato.
Giunta sul pallone, la vecchietta smette subito di blaterale e si ferma a guardarci con l’aria di chi sfida da sola un esercito. A tutti, nessuno escluso, riserva un sorrisetto sghembo, tutto gengive e saliva rafferma, e poi sfoderato da dio sa dove un lungo coltello da cucina infierisce sul pallone riducendolo a brandelli.

Esterrefatti, quasi sul punto di piangere, la guardiamo riavviarsi silenziosa verso casa portandosi dietro i resti del nostro amato pallone e le violente coltellate dei nostri occhi lucidi.  

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