L’uomo missile guida una macchina come tante altre di grossa cilindrata: diesel o benzina, che differenza fa? Il design è accattivante ma è sempre quello, già visto in tutte le salse: bianco, rosso e qualche volta pure verdone. Soltanto che lui ha speso migliaia di euro per corrompere il vento, per fare in modo che faccia amicizia colla sua vettura e l’accarezzi anziché prenderla a sberle come volentieri farebbe. L’assetto ribassato, le minigonne, lo spoiler, chissà che altro: dell’auto ne ha fatto un proiettile grigio metallizzato pronto ad infilarsi dritto dritto nelle chiappe dell’orizzonte.
L’uomo missile non lo sa che lo chiamo così. Lui è solo una frazione di secondo, un lampo nel mio specchietto retrovisore. Io e per lui non sono neanche un ostacolo. Forse sono appena una macchia, un alone sul vetro. In genere faccio appena in tempo a vederlo, a considerare che anche i capelli che ha in testa sono aerodinamici, ma niente di più. Eppure, se sapessi che le può vedere, se sapessi che le può apprezzare, due corna le farei anche spuntare.
Ma non è che io gli voglia del male. Come si fa ad uno così? Uno che mantiene intere famiglie di benzinai e di vigili urbani, uno che incide in doppia cifra sul Pil del Kuwait, uno che ha il codice della strada tatuato sulle palle e ad ogni grattata inventa un articolo nuovo: come fa sotto sotto a non essere un brav’uomo?
L’uomo missile poi è intelligente, quasi quanto quei missili che inseguono l’obiettivo rilevandone il calore. Quelle diavolerie capace che te ritrovi addosso anche se fai mille gimcane, prosegui a zig-zag e ti spacchi i legamenti del ginocchio a furia di schinche. Non ti mollano finché non ti beccano e se ti beccano sei finito. L’uomo missile ha quell’intelligenza lì: se ti becca sei finito tale e quale a quei missili, solo che lui è attirato dal freddo, il suo obiettivo principale è l’obitorio. Se poi ci va da solo o in compagnia per lui è indifferente. Tanto non si può chiacchierare.
L’ultima volta che ho avuto a che fare con l’uomo missile è stata ieri sera tornando dal lavoro. Strada stretta, fosso da ambo i lati, visibilità ridotta per via della pioggia, asfalto più viscido di Boss Hogg: l’uomo missile arriva da dietro piantato a terra come una macchinina Polistil e mi sorpassa senza freccia, senza il minimo preavviso. Quando schiaccio il clacson lui non c’è già più e io sembro l’ultima auto di uno sposalizio dispensa in aperta campagna. Faccio pena.
Due chilometri più avanti però lo rivedo. E’ in piedi accanto all’auto e l’auto è a gambe all’aria in mezzo al campo arato di fresco. La tentazione di abbassare il finestrino e fargli una pernacchia è tanta, ma resisto.
In fondo ci ha già pensato la strada a fargli capire chi è.
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