martedì 27 maggio 2014

Il pomodoro

Apre il frigo, dentro c’è un pomodoro.
Altezza occhi. Si guardano.
Chiude il portello e resta lì, perplesso.
Una mano nei capelli. L’altra ancora sulla maniglia.
Apre di nuovo il frigo, il pomodoro è ancora lì.
Rosso. Fresco. Sembra ancora attaccato alla pianta.
La luce gialla gli dona. Lo fa sembrare magico.
Tutto attorno al pomodoro è il deserto. Niente di niente.
Non ha fatto la spesa.
Non ci sono avanzi.
Niente vasetti con cetriolini galleggianti.
Niente culi di salame.
Niente di niente.
Solo il pomodoro.
Lui e il pomodoro sono gli unici esseri viventi nei paraggi.
Le piante da appartamento sono tutte morte.
Alle formiche è piaciuto lo schiuma-party.
C’era un moscone. Ieri sbatteva sui vetri. Oggi è gambe all’aria da qualche parte.
Però tecnicamente anche il pomodoro è già morto. O no?
Mentre il frigo gli alita addosso lui si mette a pescare ricordi.
L’ultima spesa?
L’ultima volta che è passata mamma?
L’ultimo pomodoro mangiato?
Chiude il portello e si allontana pensieroso.
Come fa ad essere ancora così?
E’ rosso. E’ immacolato. Sembra appena tirato giù dalla pianta.

E’ domenica.
Mezzogiorno scivola giù dal campanile.
Attraversa il sagrato.
Scivola tra le gambe delle signore.
Inforca via Verdi.
Taglia a destra per via Meucci.
Al civico 21 si infila in un portone e poi su per le scale.
Terzo piano, prima porta a destra.
Lui è dentro, scalzo sulle mattonelle. Pensa ancora al pomodoro.
Mezzogiorno si fa passare per un brivido.
Sale sui piedi.
Scala la schiena.
S’attacca ai denti.
E su, su.
In bocca diventa liquido e lui lo butta giù come niente.
Non appena entra nello stomaco Mezzogiorno diventa fame.
Lui allora torna indietro. La fame lo spinge.
Apre il frigo.
Agguanta il pomodoro.
Lo addenta.
Un rivolo arancione gli scivola veloce da un angolo della bocca.
Sul mento rallenta.
Si gonfia, diventa goccia e poi cade. Giù.
Si spalma tutta sul suo piede sinistro.
Pian piano torna il rivolo e la corsa riparte.

Il pomodoro non è affatto stopposo.
Lui lo trova buono. Molto. Quasi dissetante.
E’ un incontro fortunato.
Mai mangiato uno così.
In piedi. Scalzo. Davanti al frigo aperto.
Senza lavarlo.
Senza condirlo.
Senza sapere di dove è venuto.
Finito si succhia le dita.
Si ripulisce il mento col dorso della mano.
S’asciuga la mano sulle braghe del pigiama.
Infine chiude il frigo.
Dice: “Addio, pomodoro”.
Ma è solo un arrivederci.

Subito dentro cade qualcosa.
Senza preavviso. Senza rumore.
Uno straccio appallottolato. O meglio, una spugna.
Lui la sente bere dentro allo stomaco.
Gonfiarsi.
Occupare.
Grattare le pareti.
Ora sente anche il freddo ai piedi.
No, il freddo è dentro.
Dentro le ossa. Nei muscoli. Nei tessuti interni.
Qualcosa in lui sta mutando.
Il fisico.
I connotati.
I sentimenti.
La fame non c’è più.
Tutto è compromesso. Ora.
Tutto è compromesso da un pomodoro.
Un pomodoro immortale.  

(epilogo)
Rannicchiato sul divano.
Mani a X sulla pancia.
Sopporta a fatica.
Se stesso.
La tv accesa.
E quel tizio che parla di coltivazioni.
Di varietà e di conserve.

Di pomodori. 




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