Ho i denti gialli ma
questo la piccina ancora non lo sa. I suoi occhietti un po’ pipistrelli
svolazzano disorientati qua e là, compiono piroette a mezz’aria, sbattono
dritti sugli scaffali del supermercato e alla fine precipitano, esausti, ai
piedi della gente che cammina incurante.
“E mammina dov’è?”.
Che carini, ci facciamo
la stessa domanda io e lei. Solo che a me fa piacere saperla lontana mentre la
piccina la vorrebbe sempre accanto ed è giusto così, si capisce. Le nostre
nature sono così diverse: lei è solo una bambina ed io sono già un bastardo.
Adesso guarda in su: “Che
brava!”. Ma sopra la testa della piccina non c’è un dio ma una reclam che balla
le correnti d’aria. Una donna bionda con un dado vegetale tra le dita e un
piatto di minestra di cartone che fuma verso il soffitto. Da dove sono io
sembra che gli si rovesci sulla testa a ogni folata di vento. Mi toccherà
salvarla.
“E mammina? Dov’è?”.
Lontana, abbastanza
lontana, ma non troppo, ‘che certi sguardi sono come dei guinzagli e me lo dice
l’esperienza: non c’è da fidarsi. A volte pare proprio che certi piccoli siano
abbandonati nei loro troni metallici a rotelle, vegliati soltanto dal caso o da
qualche mezzo chilo di spaghetti particolarmente volenteroso e invece...
Bisogna fare attenzione.
“E mammina, dov’è?”
‘Che se la piccina d’un
tratto sorride il motivo non sono di certo i miei denti gialli.