giovedì 7 maggio 2015

Cose mie


E’ domenica mattina e sto stendendo il bucato in balcone alla faccia del cielo che minaccia ritorsioni d’acqua e delle montagne che piagnucolano da lontano come due vecchie zitelle a un matrimonio.
Più che altro cerco di convincere me stesso che non pioverà da lì a due minuti e che almeno le lenzuola avranno il tempo di asciugarsi approfittando del vento che soffia sulla città come se fosse la sua torta di compleanno.
Ad ogni capo che appendo al filo mi par di sentire una sghignazzata da parte dei vicini che se non altro hanno il buongusto di non farsi vedere e rimanersene sigillati nei loro sarcofagi di calcestruzzo colorato.
Io comunque rispondo loro tirando su col naso, perché l’allergia ha deciso che se deve piovere, pioverà anche dai miei occhi che son più scuri del cielo e qualche fulminata ogni tanto la sanno anche dare.
Fintanto che le apro e le chiudo provo per le mollette una sorta di fratellanza e mi diverto a dar loro dei nomi che ricorderò soltanto in caso di morte eroica come quella di Maria Pia, che poveretta non ci ha pensato due volte a buttarsi sulla rampa del garage, appresso a quel calzino spaiato che appare e riappare a piacimento come un fantasma.


Finito di stendere mi guardo attorno incredulo perché il tempo pare migliorare. La giornata sembra aprire i battenti in ritardo e il sole da dietro pare sgridare le nuvole come un vecchio cane da pastore alle prese con un gregge di pecore.
Quasi esulto, quasi;
ciò che mi blocca è un ticchettio sulla grondaia alle mie spalle, un metro sopra la testa. M’immagino quei goccioloni che precedono certi temporali estivi e mi preparo a raccattare tutto a tempo di record salvo poi voltarmi e cambiare idea: non sono solo.
Lassù, colle zampette sulla grondaia e un occhio fisso sulla punta del mio naso c’è un uccello nero non identificato. Se ne sta lì immobile, in equilibrio sull’ultimo centimetro di tetto a disposizione e mi guarda come a dire: “Dicevi che ti piace Hitchcock, eh?” ed io provo prima di tutto un forte senso di disagio, come se mi trovassi seduto sopra le uova, dentro al suo nido fatto di fieno e di involucri del Mars. Insomma, vorrei squagliarmela alla svelta ma qualcosa mi trattiene.

Ci guardiamo per un po’, fermi come due animali impagliati e poi visto che a quanto pare non lo spavento per niente provo a strappargli di becco una mezza promessa:
“Se devi scacazzare...” gli dico: “Per cortesia evita le lenzuola... Puoi?”
L’uccello allora gira la testa e scacazza lì dov’è, misericordioso.
Rientro in casa con gli occhi lucidi e quando mia moglie mi chiede cos’ho le dico: “Niente. Cose mie”.

Nessun commento:

Posta un commento